A questo link è possibile scaricare la relazione di sintesi del progetto

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A questo link è possibile scaricare la relazione completa del progetto

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I suddetti documenti sono frutto di 2 anni di lavoro e ricerche; ci auguriamo possano diventare un documento di riferimento per le sezioni CAI proprietarie di rifugi e per tutti i rifugisti che vorranno migliorare gli impianti di smaltimento dei propri rifugi.

Vorremmo iniziare la presentazione di questo progetto, prendendo spunto da alcune parole prese dal nostro Bidecalogo, documento cardine che stabilisce le “Linee di indirizzo e di autoregolamentazione del CAI in materia di ambiente e tutela del paesaggio”:

“L’impegno del Sodalizio è pertanto rivolto, oltre alla manutenzione ordinaria [dei rifugi], ai lavori di messa a norma ecologica, di miglioramento igienico-sanitario, di smaltimento dei reflui, di ricerca di soluzioni atte ad evitare accumuli di rifiuti e di soluzioni non inquinanti per il fabbisogno energetico.” Così si legge nel nostro Bidecalogo, documento cardine che stabilisce le “Linee di indirizzo e di autoregolamentazione del CAI in materia di ambiente e tutela del paesaggio” (primo capoverso pag.15).

La problematica dello smaltimento reflui, trasversale a tutti i rifugi della Lombardia è, ad avviso della commissione, da troppo tempo trascurata soprattutto in conseguenza della sua complessità. La riduzione dell’impatto ambientale dei reflui dei nostri rifugi è pertanto un tema che merita attenzione ed è un obiettivo non più procrastinabile.

La precedente commissione regionale Rifugi e Opere Alpine ha svolto nel triennio 2018-2020 un approfondito studio volto ad identificare le migliori tecnologie e le buone pratiche per la realizzazione e manutenzione degli impianti di trattamento reflui in alta quota. L’esito di questo lavoro è raccolto nelle LINEE GUIDA PER PROGETTISTI, ISPETTORI SEZIONALI e GESTORI RIFUGI per la Gestione dei reflui nei Rifugi Alpini (link in fondo all’articolo)

La nuova commissione regionale rifugi intende proseguire il lavoro svolto, effettuando opera di divulgazione/formazione e se possibile risoluzione dei problemi rimasti aperti.

E’ per questo che la commissione rifugi lo scorso 16 ottobre si è recata in visita al rifugio Buzzoni in Valsassina per prendere visione dell’impianto di smaltimento reflui che è stato “il laboratorio” di studio della precedente commissione. Nella seconda parte di questo articolo, che troverete nel prossimo numero di Salire, avrete modo di conoscere quanto è stato realizzato e le attività che esegue il gestore per mantenere efficiente l’impianto.

Inquadramento della problematica

Le acque reflue domestiche sono acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche (D.Lgs. 152/06, Parte Terza, Art. 74). Regione Lombardia ha ulteriormente specificato in un elenco (allegato al regolamento di riferimento n.3/2006) che vengono generate acque reflue di tipo domestico dagli edifici dove si svolgono attività alberghiere e di ristorazione e, quindi per analogia, i rifugi alpini. Ulteriormente, nell’aggiornamento della normativa di settore conclusasi con l’emanazione del regolamento regionale n. 6/2019, sono chiaramente citati i rifugi alpini come attività dalle quali pervengono scarichi di tipo domestico.

Il processo depurativo si configura come una serie di trattamenti meccanici, fisici, biologici e chimici che portano alla riduzione del carico inquinante presente nel refluo. La depurazione consente di ottenere uno scarico che non solo rispetta i limiti di emissione imposti dalla normativa ma che soprattutto non produce impatti sull’ambiente in cui viene immesso. Il processo depurativo comporta anche la formazione di residui chiamati in gergo fanghi, ovvero delle sostanze ad elevata umidità in cui si concentrano gli inquinanti inizialmente presenti nel refluo, che devono essere adeguatamente trattati e smaltiti perché possono essere a loro volta fonte di inquinamento.

La soluzione ottimale, se possibile, consiste nell’allacciare il rifugio alla rete fognaria pubblica, servita al suo termine da appositi sistemi di trattamento (depuratori) che permettono di riconsegnare in ambiente il refluo maggiormente depurato rispetto a quanto ottenibile da sistemi di trattamento privati. Qualora l’allacciamento alla rete fognaria non sia possibile (stragrande maggioranza dei rifugi), si devono prevedere una serie di trattamenti depurativi in situ a più stadi che portino ad avere uno scarico che rispetti i limiti imposti dalla legge e non produca inquinamento ambientale. Inoltre, la maggior parte dei trattamenti, per essere applicato ad alte quote, deve essere protetto mediante strutture chiuse ben coibentate, alloggiato in appositi locali tecnici, oppure deve essere interrato ad adeguate profondità che ne assicurino la protezione contro la rigidità dei climi invernali.

La scelta del corretto sistema di depurazione deve poi tener conto del periodo di apertura della struttura: la soluzione adottata per un rifugio aperto tutto l’anno sarà diversa rispetto a quella per un rifugio custodito aperto pochi mesi all’anno. Il dimensionamento deve tenere conto dell’andamento incostante nella produzione dei reflui: sono presenti, infatti, importanti variazioni tra i giorni della settimana (da lunedì a venerdì) e quelli del weekend e tra estate e inverno per i rifugi aperti tutto l’anno. Inoltre, tanto maggiore è il consumo idrico nel rifugio tanto più grande deve essere il sistema di trattamento delle acque reflue.

Le variabili che possono incidere sulla scelta della soluzione sono quindi molteplici.

Lo smaltimento dei fanghi: un problema aperto

Le attività di manutenzione e pulizia degli impianti di trattamento reflui necessarie per mantenere la corretta funzionalità dei processi depurativi ed evitare intasamenti delle tubazioni generano fanghi di depurazione. Al fine di diminuire gli sforzi necessari per il trasporto di queste sostanze a valle per il loro smaltimento è utile prevedere anche un sistema di disidratazione ed essiccamento dei fanghi in modo da diminuire pesi, volumi e possibilità di generare odori sgradevoli (stabilizzazione).

I fanghi di depurazione sono definiti dal D.Lgs. 152/2006 come rifiuti speciali ai sensi dell’articolo 184 c.3 let. g). Ciò implica che, secondo normativa, il loro trasporto e smaltimento deve essere effettuato obbligatoriamente tramite trasportatori e smaltitori in possesso di regolare autorizzazione che devono rilasciare la documentazione relativa al trasporto e alla consegna degli stessi (Formulario di Identificazione Rifiuto – FIR). Attualmente però non si conoscono soggetti autorizzati in tal senso aventi capacità e mezzi idonei ad operare in zone montane, raggiungibili a volte esclusivamente in elicottero.

Il capitolo fanghi è risultato quindi essere il “tallone di Achille” della problematica reflui.

La precedente commissione rifugi ha potuto conoscere altre realtà che effettuano il trattamento dei fanghi sul posto e in alcuni casi, previa autorizzazione dell’ente competente ed a determinate condizioni, anche lo spargimento degli stessi sul posto.

Nel cercare di capire quale fosse la qualità dei reflui di un rifugio, la commissione ha condotto analisi chimiche sia sui liquami che sui fanghi essiccati, ottenendo dati interessanti che lasciavano intravedere una possibile soluzione almeno per i rifugi a bassa e media quota.

Purtroppo le speranze si sono infrante di fronte a norme nazionali non pensate per i rifugi ma non derogabili da Regione Lombardia, norme che equiparano i fanghi a rifiuti speciali con conseguente obbligo di avvalersi di aziende specializzate sia per il trasporto che per lo smaltimento; se non si interviene a livello nazionale, non esiste allo stato attuale nessuna possibile deroga regionale che possa venire in nostro aiuto.

Trattandosi di una manutenzione “ordinaria” non è peraltro possibile identificare forme di contribuzione regionale in quanto i contributi possono essere erogati solo in conto capitabile, ovvero per realizzare opere e non per manuntenerle.

 

Su questo aspetto la nuova commissione intende riprendere in futuro il lavoro della precedente commissione, cercando di identificare di concerto con Regione Lombardia, una concreta proposta di modifica alla normativa nazionale in modo da dare la possibilità, ove fattibile, di gestire i fanghi in loco.

 

L’importanza dei detersivi ecologici

I detersivi biologici si differenziano in senso ecologico ed eco-sostenibile per due importantissime scelte. Da un lato limitano i componenti ai soli prodotti davvero indispensabili e sufficienti per la pulizia completa di ambienti e oggetti (ad esempio non ci sono profumi, conservanti, coloranti, sbiancanti…). Degno di nota è il caso dei complessanti che addolciscono l’acqua aumentando il potere lavante dei tensioattivi. Il più comune è l’EDTA, che non è biodegradabile e in mare riesce a solubilizzare i metalli pesanti (cromo, mercurio, piombo cadmio) così che i pesci vengono contaminati fino a 6000 volte di più. Dall’altro non utilizzano sostanze chimiche artificiali dannose impiegando, quanto più possibile, materie di origine naturale e non di origine petrolchimica.

Si tratta di caratteristiche fondamentali soprattutto in relazione alla carenza del quadro normativo, particolarmente problematica in assenza di collegamenti con la rete di smaltimento pubblica, come è il caso prevalente dei rifugi.

Secondo la normativa vigente nel nostro paese, che fa riferimento al regolamento europeo (CE) n. 907/2006, è possibile apporre la scritta “biodegradabile” sull’etichetta di un detergente se “il livello di biodegradabilità dei tensioattivi è almeno del 60 per cento entro un termine di ventotto giorni. I grandi limiti di questa legge però sono due: il primo riguarda la percentuale, il secondo il fatto che si prendano in considerazione solamente i tensioattivi, tralasciando tutto il resto.

L’uso di detersivi ecologici, soprattutto in assenza di adeguate modalità di trattamento dei reflui, rappresenta il “minimo sindacale” e non sarà mai troppa l’opera di sensibilizzazione per il loro impiego non solo da parte dei gestori ma anche da parte degli escursionisti. Su questo punto occorre che il gestore effettui una scelta accurata e consapevole sul tipo di prodotto da utilizzare perché purtroppo pochi detergenti ecologici in commercio sono a nostro avviso compatibili con i delicati ambienti alpini dove insistono i rifugi.

Per chi volesse saperne di più, di seguito il link di una serata “detergenza ecologica” che è stata fatta in collaborazione con la sezione CAI di Bovisio Masciago (link in fondo all’articolo)

 

Conclusioni

Purtroppo, non esiste una soluzione idonea valida per tutti i rifugi: le condizioni al contorno correlate, tra le altre, al contesto ambientale, alla quota, al numero di utenti e al periodo di apertura delle strutture, nonché alla sensibilità e manualità del gestore, costituiscono variabili che impediscono l’identificazione di uno standard di riferimento. Per realizzare un impianto efficiente e gestibile è necessario affrontare l’integrità di questi temi in fase progettuale, identificando i punti deboli e i punti di forza del contesto, diversamente il rischio è quello di realizzare impianti innovativi che risultano nella pratica difficilmente gestibili e sostenibili, oppure di realizzare impianti inefficaci. Il primo dei consigli che ci sentiamo di dare è quindi proprio quello di selezionare con cura il progettista. Nonostante la complessità della materia, abbiamo constatato che le soluzioni tecniche oggi esistono per tutte le quote in cui insistono i nostri rifugi. Ciascuna soluzione ha uno specifico costo iniziale e un costo di mantenimento che è necessario definire in fase di progettazione. La nostra pubblicazione descrive diverse di queste tecnologie con molti esempi di realizzazione; ci auguriamo che sia di aiuto ai tecnici che dovranno scegliere quella più idonea per il loro caso.

È opportuno inoltre ricordare che lo scarico in ambiente di reflui, anche se domestici, provenienti da strutture non servite da rete di fognatura pubblica, deve essere necessariamente autorizzato dalla Provincia competente per territorio. Di conseguenza, come secondo consiglio, vi invitiamo, una volta definita la soluzione tecnica, ma prima di presentare la domanda di autorizzazione, a confrontarvi preventivamente con i tecnici degli uffici provinciali, in quanto saranno loro a valutare e approvare il progetto in conformità con la vigente normativa. Il confronto tra i tecnici delle parti per l’ottenimento dell’autorizzazione allo scarico, che sottolineiamo essere un obbligo di legge, fanno evitare perdite di tempo in carteggi burocratici e sprechi di risorse in progetti che in seguito non potranno essere approvati.

Infine, fin da subito è possibile, e importante, dotarsi di detersivi ecologici riducendo così immediatamente l’impatto ambientale del rifugio.