Aneddoti, ricordi e tutti i mutamenti che hanno attraversato l’universo dell’alpinismo e della montagna raccontati dai protagonisti e dagli osservatori della manifestazione cinematografica trentina. Con una carrellata di istantanee dagli archivi del festival.

Il manifesto della settantesima edizione del Trento Film Festival firmato da Milo Manara

Settant’anni sono un bel traguardo. È un compleanno davvero speciale quello del Trento Film Festival, fondato nel 1952: il primo e più longevo festival cinematografico al mondo dedicato alla montagna, all’esplorazione e all’avventura. Ne parliamo nel focus del numero di aprile 2022 con approfondimenti e interviste, aneddoti e ricordi direttamente dalla voce dei tanti protagonisti della manifestazione quest’anno prevista dal 29 aprile all’8 maggio.

«Affidarsi alle memorie, alle riflessioni e ai racconti di chi il festival l’ha vissuto è il modo migliore per ricordare il valore culturale di un appuntamento fondamentale per il Club alpino italiano, per la montagna e per i suoi frequentatori», scrive il direttore di M360 Luca Calzolari. «Lo abbiamo fatto dando la parola a coloro che avevano qualcosa da raccontare. Dell’ieri, dell’oggi e perfino del domani». 

E visto che il cinema non è altro che una sequenza d’immagini in movimento, in questo numero il tradizionale portfolio che mensilmente è proposto su Montagne360 è sostituito con una carrellata di foto chiamate Istantanee dal festival.

Trento film festival, la montagna in celluloide

I contributi iniziano con l’intervista all’attuale presidente Mauro Leveghi, che sottolinea la vocazione di “raccontare il futuro” rivestita negli anni dal festival. Una manifestazione che nel tempo ha cambiato pelle pur mantenendo i valori che l’hanno sempre contraddistinta fra cui, spiega Leveghi, «il forte legame con il territorio e le sue istituzioni, così come la vocazione internazionale». La rassegna, alle sue origini, era molto legata ai temi dell’alpinismo per poi trasformarsi, nel tempo, in un festival della cultura di montagna.

Una vita di ricordi immortalati nei film e nelle tante immagini che ne ripercorrono le tappe principali. Compreso il manifesto numero settanta, firmato da Milo Manara a venticinque anni dal bozzetto “dello scandalo”, mai tradotto in poster, che raffigurava una ninfa con la schiena nuda al cospetto delle Dolomiti, nell’atto di uscire dalle acque di un lago. Un aneddoto raccontato dal giornalista Leonardo Bizzaro, che ne è stato involontario protagonista all’interno del consiglio direttivo del festival.

Gianluigi Bozza, direttore della rassegna negli anni Novanta, racconta la “svolta” della seconda metà degli anni Ottanta, quando cambiò la concezione dell’alpinismo: «accanto a quello “classico” delle grandi spedizioni (himalayane e andine) e dell’arrampicata “accademica”, si andò gradatamente ad affermare un escursionismo di massa indotto dall’importanza crescente del turismo estivo sulle Alpi», scrive Bozza. Così anche al Trento Film Festival la montagna divenne sempre più per tutti, con uno spazio crescente dedicato, oltre che all’alpinismo, anche all’ambiente, alle storie, alle popolazioni e all’arte.

Ha lavorato per arrivare ad una platea di pubblico sempre più ampia anche Maurizio Nichetti, alla direzione artistica dal 2005 al 2010, ponendo l’attenzione ad pubblico familiare, con serate dedicate alla musica ed eventi culturali in vari luoghi della città, per un festival che usciva nelle piazze e diventava festa di tutti. «Tutto questo sempre con la grande attenzione di non deludere mai gli appassionati dell’arrampicata classica, dell’impresa ai limiti della resistenza umana», precisa Nichetti.

1989. Claude Remy e la sua compagna © Archivio del Trento Film Festival.

Nell’atmosfera del passato si immerge Kurt Diemberger, protagonista del festival sin dalle prime edizioni, che ricorda come l’ambiente dei frequentatori fosse diverso da quello di oggi e oltre agli appassionati delle pellicole di montagna, s’incontravano quasi solo alpinisti, scalatori che provenivano da tutti i versanti delle Alpi. Fra i film ricordati da Diemberger vi sono La grande cresta di Peutérey (Mont Blanc – Der Grosse Grat von Peutérey), che ha vinto la Genziana d’oro nel 1962 e K2 – Sogno e destino (K2 – Traum und Schicksal), vincitore del Gran Premio nel 1989.

Di aneddoti parla Daniela Cecchin, quarant’anni vissuti nel cuore pulsante della kermesse, che ricorda quando arrivò Renato Casarotto con la pellicola girata in occasione dell’apertura della sua via sulla parete nord dello Huascarán.

«Ricordo momenti d’ansia, quando un rullo minacciava di non arrivare in tempo per proseguire la proiezione. Altre ansie si vivevano al Teatro Sociale quando la calca di gente che voleva il biglietto d’entrata faceva scappare la cassiera, protetta da un vetro che dava l’idea di scoppiare da un momento all’altro. E poi gli inquietanti scricchiolii, quando si riempiva anche l’ultimo ordine di palchi», scrive Cecchin.

E se il festival ha rappresentato un unicum che ha cambiato la cultura della montagna, il motivo è da ricercarsi non solo nei film proiettati ma anche (e soprattutto) negli incontri e nei confronti – spesso informali –  fra tutti i protagonisti della rassegna: alpinisti, produttori, registi, giornalisti. Questo è il punto di vista del direttore editoriale del Cai Alessandro Giorgetta, che ha frequentato la manifestazione per mezzo secolo. A riguardo ricorda le tavole rotonde su cui si concentrava il dibattito ed emergevano con forza nuove tendenze culturali a cui partecipavano, tra gli altri, Dino Buzzati, Fosco Maraini e Mario Rigoni Stern.

«Un episodio divertente riguarda Mauro Corona. Durante un evento dedicato alle cascate di ghiaccio disse che la più bella cascata l’aveva fatta uscendo da un’osteria, proprio a Trento. Scivolò sul marciapiede ghiacciato, e lì si addormentò. Il Trento Film Festival ha raccontato anche queste storie», ricorda Giorgetta.

Quel che oggi son diventati l’alpinismo e l’arrampicata, ma anche l’escursionismo, il trail, lo scialpinismo dalle prove agonistiche alle grandi traversate è passato sempre dal festival, suscitando gran dibattiti. A scriverlo è il già citato Bizzaro, che ci ricorda come Trento sia anche questo: «una cittadina di provincia che è stata testimone negli ultimi settant’anni di tutto ciò che si è mosso nel mondo dell’alpinismo. Si può contestare il festival – molte volte lo si è fatto in passato – ma non si può negare la sua necessità».

La manifestazione trentina è anche un rifugio dove tornare ogni anno. «Una grande occasione di confronto», la definisce Marco Ribetti, vicedirettore del Museo nazionale della montagna di Torino, che ne ricorda la vocazione internazionale. Proprio a Trento si formò infatti il gruppo che diede vita, il 1° maggio 1999, all’International Alliance for Mountain Film.

«Durante un percorso ormai più che ventennale, l’International Alliance for Mountain Film è cresciuta regolarmente, coinvolgendo sempre nuovi partecipanti, per arrivare oggi ad avere ventotto soci provenienti da venti Paesi diversi. Non abbiamo mai abbandonato la consuetudine di incontrarci a Trento, dove saremo anche quest’anno», spiega Ribetti.

Riflessioni sulla guerra in Ucraina

Era la sera del 14 settembre 1952 quando al Cinema Astra iniziarono le proiezioni della manifestazione che oggi conosciamo come Trento Film Festival, ma nel corso degli anni ha assunto varie denominazioni. Da non molti anni ci eravamo gettati alle spalle la seconda guerra mondiale e l’Italia si avviava a vivere il miracolo economico. Oggi, a settant’anni di distanza, stiamo nuovamente vivendo un drammatico conflitto nel cuore dell’Europa, che è motivo di riflessione nell’editoriale del Presidente generale del Cai Vincenzo Torti, secondo il quale siamo di fronte ad «una guerra folle ed insensata, che va assumendo le connotazioni del genocidio». Per questo, Torti esprime «la più ferma condanna, da parte del Club alpino italiano, per l’attacco militare perpetrato dal presidente russo in odio al popolo ucraino e alla sua sovranità nazionale». Fra le inevitabili ricadute che il conflitto avrà sulla quotidianità di tutti noi, Torti vede, tra tutte le difficoltà, anche «un’occasione da non perdere per rivedere schemi di vita segnati da un consumismo sfrenato e da una malintesa libertà, oltre che per recuperare una dimensione di vita più vera, concedendo meno spazio alla pervasiva virtualità che isola e stordisce».

Sul valore universale della pace si basa il Peak&Tip del direttore di M360 Luca Calzolari. «In tanti lo hanno ribadito, ognuno nel proprio spazio di prossimità, raccogliendo e inviando aiuti alla popolazione ucraina. E tutti hanno espresso posizioni di condanna. Non solo in Italia, ma anche in tutto il resto d’Europa». Calzolari cita, oltre al Cai, il Gruppo di alta montagna francese e i vari gruppi europei di speleologia.

Itinerari di scialpinismo ed escursionismo 

Spazio anche a numerosi itinerari di scialpinismo – dalla Valle di Goms, nell’Alto Vallese, in Svizzera alle Alpi Lepontine, passando per il Monte Pollino -; non manca l’escursionismo, con il racconto del viaggio a piedi in inverno di Nino Guidi, tra allenamento, tenuta psicologica e motivazioni forti. Un’avventura che segue la direzione indicata dalla “cometa” del Sentiero Italia CAI, per promuovere le Terre alte del nostro Paese e le sue infinite bellezze. Unica concessione la “licenza di perdersi”, per immaginare di creare varianti basse al fine di utilizzare l’itinerario anche in stagioni meno favorevoli.

Gli alpinisti, dal canto loro, potranno conoscere la Val de Piero, uno dei luoghi più suggestivi del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, che si trova nel gruppo montuoso della Schiara. Si tratta di una valle stretta e ripida, tra le più selvagge delle Dolomiti, che mette in contatto la Vallata Agordina con il Bellunese. È caratterizzata da panorami danteschi e tratti ripidi che  la rendono una delle vie più emozionanti da percorrere durante un’escursione.

«La Val de Piero si conclude con un tratto stretto, una cascata rumorosa che irrompe dall’alto, una gola profonda accompagnata da orride pareti di roccia, ove inavvertiti vagano spensierati e liberi i camosci», ci informa Giuliano Dal Mas della Sezione Cai di Belluno.

E tante altre storie di montagna

Chiudono questo numero la descrizione degli aspetti geologici della Pietra di Bismantova, il massiccio roccioso dall’inconfondibile ed isolato profilo a forma di nave che contraddistingue il paesaggio dell’Appennino Reggiano.

È inoltre presente inoltre un contributo in merito al progetto Re-Hab. La montagna riabilitativa che, partito da una tesi di laurea, ha prodotto un’esperienza di contrasto allo spopolamento della borgata Querio, all’interno del comune di Ingria in provincia di Torino. Un nucleo insediativo con interessanti peculiarità architettoniche, abbandonato dagli anni Sessanta del ‘900, che oggi può costituire un riscatto per il territorio incontaminato della Val Verdassa.

Fra i consigli di lettura vi presentiamo L’alpinismo è tutto un mondo, un saggio edito dalla collana Personaggi del Cai: un vivo scambio epistolare tra Silvia Metzeltin e Linda Cottino sull’alpinismo, in primis femminile.

Scienza, curiosità, attualità, cronache di nuove ascensioni e notizie dal mondo Cai completano come sempre il numero di aprile, acquistabile in edicola a 3,90 euro e in arrivo nelle case dei Soci del Cai.

La copertina di Montagne360 di aprile 2022